LA PASTORALE INDIGENA IN REDENÇÃO – Pará – Brasile

LA PASTORALE INDIGENA IN REDENÇÃO – Pará – Brasile

 

MOLTI POPOLI, UNA SOLA FAMIGLIA-


 nella lingua kayapó= ME KRAMTI, ÕBIKWA PYDJI”.

 

Per noi impegnati nella Pastorale Indigenista, la settimana dei popoli indio (dos povos indígenas): è sempre un momento privilegiato, “alto” della vita missionária. Essa infatti è stata istituita e si propone come settimana di riflessione per tutta la nazione brasiliana e ancora di più per i popoli indio del Brasile.

Quest’anno poi il calendario poneva “la settimana” subito a ridosso della celebrazione della Pasqua, 13 – 19.04.’09) quindi a conclusione della Campagna della Fraternità (un’iniziativa che da più di 40 anni qualifica la pastorale quaresimale della Chiesa in Brasile), il cui tema presentava il binomio “Fraternità e Sicurezza pubblica”. Pur partecipando  alla campagna, noi della Pastorale tra gli indios Kayapó, abbiamo preferito puntare, cioè chiamare l’attenzione della gente di Redenção e degli indio su un tema di uguale attualità e urgenza, proposto a lettere cubitali su un grande striscione, (scritto nelle due lingue, portoghese e kayapó) subito, all’entrata del “Centro de Pastoral Indigenista Pe. Antônio Lukesch [i]: MOLTI POPOLI, UNA SOLA FAMIGLIA = ME KRAMTI, ÕBIKWA PYDJI”.

Idea ispiratrice e proposta

Redenção, ci è parso fin dall’inizio un luogo ideale, per presentare il tema della “Fraternità Universale”, proprio per le problematiche legate alla difficile convivenza tra la gente locale e gli indio kayapó così abbiamo pensato con l’inizio della Quaresima di lavorare attorno al progetto di “un’esposizione – itinerario dentro l’universo kayapó” che alla fine del percorso suscitasse nei visitatori, due domande almeno. La prima: che passi dare per convivere e costruire insieme una società fraterna tra popoli storicamente, culturalmente e sociologicamente tanto differenti?  Seconda:  quale itinerario “emblematico” il Vangelo ci propone, così da diventare  anche “metodo di cammino”  per superare diffidenze e  pregiudizi e  contemporaneamente avvicinare, in particolare  la gente di Redenção, non solo alle espressioni culturali più visibili, quelle “a fior di pelle”, ma entrare possibilmente nell’anima dell’altro, come nel nostro caso, del popolo kayapó? Porsi delle domande che portassero a chiedersi del “perché” di determinati comportamenti, delle scelte culturali, delle espressioni anche artistiche e artigianali che i Kayapó hanno prodotto nei lunghissimi anni di vita, inseriti nella’ambiente amazzonico e che sono arrivati fino a noi!

 

Il Vangelo chiede  a tutti pazienza e umiltà nell’iniziare questo percorso, la curiosità di sapere e indagare di più su un popolo col quale si vuole costruire insieme una società nuova.  La pratica del Vangelo in questo senso porta inevitabilmente a una maggiore conoscenza dell’altro, alla stima reciproca, alla valorizzazione di ciò che ciascuno ha di peculiare, e allo stesso tempo porta a capire e superare i limiti che ogni cultura ha dentro sé. Nelle nostre intenzioni era chiaro che la proposta era diretta soprattutto alla gente di Redenção,[ii] anche se non ci lasciamo sfuggire occasioni per aiutare i Kayapó a capire i meccanismi di una cultura diversa dalla loro…..cosí complessa, allettante, condizionante e spesso illusoria (ti mostra ciò che non puoi avere e ti dà subito tutto con una bottiglia di cachaça, con un po’ di povere bianca……).

A ricordare il nostro impegno e a motivare la nostra iniziativa c’è anche il Documento di Aparecida al N° 363 che invita soprattutto i missionari “a chiedere la grazia allo Spirito Santo per essere in grado di testimoniare una prossimità affettuosa, che ascolta, umile, solidaria compassava, dialogica e di riconciliazione, impegnata per la giustizia sociale, capace di condividere, come Cristo ha fatto”.

Qualche accenno di storia e problematica recenti

Sono bastate la scoperta delle miniere d’oro (garimpos) prima, e l’estrazione e commercializzazione della pianta del mogano poi (1980) a “sconvolgere” quella che era, anche se spesso conflittuale, una coesistenza tollerabile occasionale, tra “invasori”, soprattutto tra gli indio kayapó e i “fazendeiros” che illegalmente (comprando titoli fasulli) andavano occupando grandi estensioni di terra  con il sistema del disboscamento – desmatamento veloce, nelle zone non ancora ufficialmente demarcate  e riconosciuta dal Governo Federale come appartenenti agli indios Kayapó.[iii]

Solo i grandi interessi economici hanno mantenuto un clima di armistizio durante le due ultime decade di fine secondo millennio. Il capitale (terra, oro, legname, bestiame) da una parte e il denaro liquido, subito “na hora” dall’altra (indigena),  hanno narcotizzato gli spiriti, creato quel clima di sopportazione vicendevole, specie nei confronti degli indios kayapó soprattutto per gli interessi in gioco; e che continua a tutt’oggi! L’esplosione  xenofoba, o quantomeno il clima di intolleranza, di preconcetto è sempre latente e non di rado trova lo sfogo violento.[iv]

Dal 2001, noi Missionari Saveriani siamo presenti a Redenção (Diocesi SS.ma Conceição do Araguaia). Nella misura del possibile, visitiamo anche alcuni villaggi kayapó della vastissima riserva. La ragione di questa nostra scelta la si deduce, dagli stessi motivi per cui i Kayapó arrivano a Redenção e per quello che succede con loro durante la permanenza in città, come nel caso emblematico citato in calce  nella nota lo striscione posto sopra il portone di entrata del Centro della Pastorale Indigenista, avevamo scritto una frase (sempre nelle due lingue), tra le più citate del Vangelo di S. Giovanni, perché tra le più chiare, esplicite del pensiero e della volontà di Gesù: “sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv.10,10). “Tutti: indio e non indio”!

Questa nostra volontà (progetto) veniva ribadito e scritto nel nostro progetto comunitario di vita il cinque novembre del 2003: “La nostra presenza missionaria a Redenção ha come unico obbiettivo, ricordare ai nostri fratelli indio kayapó e al tempo stesso alla gente tutta di Redenção che il mondo non si costruisce scartando o addirittura eliminando i differenti, (per cultura, religione, lingua, storia, organizzazione sociale, …..) o combattendo  coloro che non pensano alla stessa nostra maniera, ma costruendo insieme una società dove c’è posto per tutti, dove  si impara a conoscersi, a capirsi, ad  apprezzarsi, a lavorare insieme” (Redenção, 05.11.2003). Non era e non sarà questo il paradiso in terra; ma è certamente la strada giusta per andarci!”

 

 

 

 

 

 

 

L’esposizione :

MOLTI POPOLI, UNA SOLA FAMIGLIA

  1.     Strategia.

–        Di proposito abbiamo scelto di invitare gli istituti scolastici, sia quelli pubblici (statali) che privati, portando personalmente nelle scuole l’invito a visitare l’esposizione e ad utilizzare per l’occasione il  materiale illustrativo della settimana dei popoli indio preparato dal Consiglio Indigenista Missionario.

–        Abbiamo inviato o consegnato personalmente alle parrocchie della Diocesi di Conceição do Araguaia lo stesso materiale (inviti all’esposizione e materiale della settimana dei  popoli indio). Abbiamo pubblicato sul giornale cattolico diocesano, la programmata “esposizione” e il significato della stessa.

  1. Ambiente e disposizione dell’esposizione.

L’esposizione ha praticamente occupato tutto lo spazio del “Centro della Pastorale  Indigenista P. Antonio Lukesch”. Essa è stata strutturata, come già accennato sopra a modo di percorso, in modo che a partire dall’entrata al “Centro” il visitante potesse per tappe conoscere quello che noi abbiamo chiamato “universo kayapó”

  1.  Il tema generale all’entrata: “Molti popoli, una famiglia sola” –  Illuminazione biblica: Il progetto di Dio: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. (banner)

–        Primo passo: Un grande banner con il grafico dell’area kayapó informa circa la popolazione: numero degli abitanti kayapó, il nome e localizzazione dei loro villaggi con i rispettivi punti di riferimento degli enti del governo centrale che presiedono e amministrano il territorio, la salute, la scuola e per i contatti di vario genere: (gli affari, i rifornimenti di alimentari ormai entrati nell’alimentazione kayapó, lo svago….ecc).

–        Secondo passo: I Kayapó  (e altri 25 popoli indio) presenti nella Regione bagnata dal fiume Xingu illustrati da un grande mappa della regione xinguana. Il fiume, lungo2.266 Km, è un affluente di destra del Rio delle Amazzoni; attraversa lo stato del Mato Grosso prima e quello del Parà poi. Lungo tutto il suo percorso sono stati registrati ben 40 ecosistemi diversi. Una ricchezza impagabile, unica!

–        Terzo passo: i Kayapó nel contesto dell’Amazzonia (un mappa ne mostra le dimensioni): una riserva di ricchezza minerale incalcolabile, in cui primeggiano l’acqua e l’aria; la foresta con l’inestimabile ricchezza faunistica e floreale e, infine, la presenza  umana che conta con numerosi popoli indio diversi.

–        Quarto passo: i Kayapó nel contesto del Brasile (mappa che mostra la presenza di tutti i territori indio nella federazione) con la loro importante presenza in campo socio-politico (e folclorico) in passato e attualmente. Alle quattro mappe che descrivono i rispettivi passi dell’esposizione, si assomma un banner che presenta una delle ormai famose azioni dei Kayapó in difesa del territorio: la loro posizione contro il progetto di costruzione della diga “Belo Monte” sul fiume Xingu. (cfr.1°Incontro di Altamira, contro la diga di “Karara’ô”, Febbraio 1989 e di nuovo 2° incontro di Altamira, contro la diga di “Belo Monte”, Maggio 2008).

Passiamo all’esposizione dei manufatti kayapó; dai manufatti una conoscenza più “tangibile, reale” del popolo kayapó

  1. Sala 1. Grafismo e pittura corporale:

L’esposizione: mostra solo parzialmente quelli che risultano essere “gli ideali di vita” che orientano tutta l’esistenza kayapó. Questo popolo si vuole e si sente “bello”.

–        Dalla nascita alla morte il corpo umano, è costantemente rivestito, anzitutto dalla pittura corporale, che può essere paragonata ad una seconda pelle. La pelle dell’identità e dell’appartenenza kayapó. La pelle che il kayapó ha alla nascita, lo identifica solo come “umano generico”. La “seconda pelle” è fatta di disegni (motivi tratti  dal mondo della natura, fauneschi), in cui predomina la forma esagonale dell’involucro osseo della  tartaruga di terra. Oltre ad una interessante sequenza di disegni, sono esposti anche tutti gli strumenti di lavoro e la materia prima che serve per preparare i colori. (Un banner introduce alla sala 1).

 

–        A proposito, in un banner grande ben visibile,abbiamo citato quanto l’antropologa  Berta G, Ribeiro, scrive sul grafismo e la pittura corporale:

(Berta G. Ribeiro in “Suma Etnológica Brasilieira”, Ed. Vozes e FINEP; Vol 3, pag. 121).

  1. Sala 2. Arte plumaria:

L’arte plumaria, è senza dubbio la migliore espressione estetica dei popoli tribali delle Amariche! Secondo Lux Vidal, antropologa, studiosa soprattutto dei Kayapó-Xikrin, scrive: “ l’ornamentazione del corpo costituisce uno dei tratti più salienti della cultura kayapó. Essa assieme alla pittura corporale, è quella che meglio si presta per esprimere l’identità della persona, la sua differenza dagli altri e la differenza tra i gruppi sociali”.

Si è introdotti nella sala da due banner di cui il primo annuncia la presenza degli artefatti di piume. Il secondo  riporta una frase di un poeta brasiliano vivente, il quale, in un verso,  esprime il sentimento di autostima del popolo kayapó; “Se le piante avessero occhi, la capacità di apprezzare e giudicare, ciascuna di esse direbbe che il suo fiore è il più bello!” (Ruben Alves).

–        L’uso delle piume trova origine e motivazione  nella mitologia. I gemelli, ancestrali dei Kayapó, abbattono l’avvoltoio reale che dominava il mondo. Si impadroniscono delle sue piume, cioè del potere di volare in alto,  più in alto di tutto e di tutti…e quindi di dominare su  tutti gli esseri viventi. È il mito dell’uomo-uccello (ricorda il mito di Icaro). Le piume sono presenti in tutto l’arco della vita kayapó.

 

Le piume sono presenti in tutto l’arco della vita kayapó.

–        Nella sala 2 non solo si possono ammirare una serie di stupendi ornamenti plumari, ma osservarne l’abilità tecnica nella loro confezione, la policromia e soprattutto conoscerne il significato delle complesse celebrazioni kayapó.

  1. Sala 3. Arte dell’intreccio: fibre vegetali, ed anche “gli strumenti” per la caccia, la pesca e di uso domestico.

I kayapó non conoscono la ceramica, né la terracotta; ed è plausibile, se si considera la vita seminomade del gruppo fino a poche decine di anni fa. Nell’intreccio invece delle fibre vegetali mostrano la loro creatività, la grande tecnica  e ancora una volta il senso del “bello”. Anche negli oggetti di uso comune i Kayapó hanno sviluppato il concetto della “seconda pelle”, che simbolizza l’integrazione del corpo all’interno della società kayapó”. Vedere il banner di presentazione.

–        Vale la pena segnalare la tecnica nella preparazione e nell’uso dell’arco e delle frecce (punte differenti); inoltre, a parte il legno usato, interessanti sono i fregi di fibre delle impugnature delle mazze, delle clave e delle lance, ormai diventate tutte “cerimoniali”, usate soprattutto durante le celebrazioni kayapó.

  1. Sala 4. Spazio multimediale:

Purtroppo “l’itinerario da noi proposto al Centro “P. Antonio Lukesch” non prevede la visita ad una villaggio kayapó, ma offre al visitatore la possibilità, attraverso immagini e filmati, di rendersi conto dell’uso che viene fatto degli oggetti etnografici presentati nelle sale precedenti. La sala offre la possibilità di interagire con noi missionari, attraverso l’approfondimento, le spiegazioni e il dibattito  non solo sulla specifica realtà kayapó, ma su problemi legati ad essa (ambiente, dialogo religioso, cultura, politica indigenista, sviluppo alternativo, progetti, ecc.)

Su un banner troviamo scritto quello che Giovanni Paolo II affermava il 1° gennaio 1982 a proposito di quanti sono impegnati per la pace, per un mondo fraterno, quindi inclusi anche noi:”Fanno opera di pace tutti coloro che si sforzano di chiamare l’attenzione sui valori delle differenti culture, l’originalità e la ricchezza di ciascuna di esse e di ciascun popolo”

–        Non a caso si è introdotti alla sala multimediale da un banner che riassume le tematiche presentate, problematizzate e discusse dallo slogan (ben visibile nel banner): “UN ALTRO MONDO È POSSIBILE[vi], lo stesso mondo che l’esposizione propone e che invita, gente di Redenção e indios kayapó, a realizzare!

  1. Sala 5. O sala centrale “grande casa aperta”:

–        A questo spazio si giunge come se si arrivasse dalla foresta o“degli appezzamenti di terra” aperti nella foresta, dove crescono prodotti indispensabili all’alimentazione kayapó: mandioca, patate, granoturco (milho), banane, inhame, zucche……

–        …..O come se si arrivasse al fiume per prendere la canoa per andare a pesca, a caccia. La cacciagione e il pesce soprattutto, ancora oggi costituiscono un elemento fondamentale sulla “tavola kayapó”.

–        Questo spazio porta a pensare anche alla grande piazza circolare kayapó, costruita attorno alla casa centrale (luogo dell’incontro, delle discussioni comunitarie e delle decisioni importanti nella vita). La casa centrale ricorda la prima casa, luogo della famiglia…”allargata”, tribale.

–        Il grande spazio centrale diventa palco e platea in determinati periodi dell’anno per le celebrazioni delle grandi e sontuose feste kayapó. Su questo “palco” salgono gli attori, cioè tutto il villaggio (eccetto i responsabili delle feste) per danzare e cantare; salgono gli attori mascherati  per rappresentare la storia, la presenza degli antenati, la volontà di vivere e vivere più a lungo possibile e in pace. (il danzare per tutta la notte rimanda alla vita il cui filo, nel caso delle persone festeggiate in quella notte, mai dovrebbe rompersi!) Questo desidera il popolo kayapó!

Non a caso in questa grande sala sono esposti alcuni banners che ricordano al visitatore: * I miti delle origini del popolo kayapò,  * le celebrazioni delle feste,  * Le maschere, * Il lavoro quotidiano, * l’alimentazione e i prodotti della terra……..

Un altro banner al termine percorso dentro l’universo kayapó, ricorda la responsabilità di ciascuno e di tutti circa il rispetto e l’uso razionale del nostro pianeta: “Con la decimazione (morte) di ogni gruppo indio, il mondo perde millenni di conoscenza accumulata sulla vita e l’adattamento agli ecosistemi tropicali. Queste preziose informazioni vengono ignorate senza la minima riflessione: la marcia dello sviluppo non riesce ad aspettare per scoprire ciò che sta per distruggere” (Darrell A. Posey; “A ciencia dos Mebengôkre: alternativas contra a destruição, Museu paraense “Emílio Goeldi; Blém Pará-Brasil, 1887).

Raccogliendo impressioni e tentando una valutazione a iniziativa conclusa  

  • L’afflusso della gente, ma soprattutto degli studenti ci ha sorpreso. Ci sono stati dei momenti in cui noi 4 Saveriani (Zezinho, Renato, Raymundo, Saul) e la coppia di laici (Fabio ed Elisa) eravamo tutti contemporaneamente impegnati a seguire dei gruppi. Alcune scuole sono venute in massa, compresi gli insegnati e i presidi. Gli alunni erano già stati preparati a prendere nota di quanto avrebbero visto e udito, in vista di successivi lavori da sviluppare nelle proprie scuole. Alcune scuole non sono venute non avendo potuto disporre di un mezzo di trasporto collettivo, ma si sono scusate per questo. Particolare interesse hanno dimostrato i bambini di qualche scuola materna i quali oltre alla meraviglia mostrata davanti agli oggetti, hanno seguito divertiti le nostre spiegazioni.
  • L’esposizione ci ha permesso di far conoscere di più e meglio il popolo kayapó, (vicini di casa, spesso incomodi), l’Amazzonia e le sue ricchezze ci ha permesso di proporre qualche cammino possibile, da iniziare subito in vista di un mondo “famiglia di tutti”. Importante il fatto che l’esposizione ci ha permesso “di entrare nelle scuole” perché loro sono venute da noi al “Centro”. Superata quindi la burocrazia dei permessi e il sospetto della propaganda religiosa da parte della Chiesa Cattolica.
  • L’esposizione e il “Centro della Pastorale Indigenista”  in cui essa è avvenuta sono diventati per otto giorni lo spazio dove la gente di Redenção (studenti) e gli indios kayapó si sono incontrati, i bambini hanno giocato insieme sulle altalene e gli scivoli, le donne kayapó hanno dipinto sulle braccia, sulle caviglie, specialmente delle ragazze, i geometrici, perfetti disegni kayapó; e qualche indio spontaneamente si è avventurato anche in alcune spiegazioni in portoghese sugli oggetti, facendo trasparire l’interesse prodotto anche sui kayapó della stessa esposizione.
  • Questo fatto rimanda ad un discorso più ampio che l’esposizione ha ancora una volta provocato. Redenção non può essere solo la città che, dopo aver sfruttato le ricchezze minerali, forestali dei kayapó, si riprende i soldi (dei kayapó) vendendo loro generi di consumo, alimentari, vestiario, elettrodomestici e divertimenti. Deve offrire anche luoghi di incontro, di sport, di scambio di conoscenze, di parlare della necessità di strutture ospedaliere, scolastiche  e comunque di appoggio agli indio che arrivano in città dai loro villaggi. Noi Missionari, nel nostro piccolo, abbiamo tentato di fare la nostra parte e lo abbiamo dimostrato  con l’esempio.
  • Rilevante il fatto, tutto saveriano, dell’impegno per varie settimane di tutti noi e della coppia dei laici nella realizzazione e accompagnamento poi dell’esposizione. Durante gli scambi, le riflessioni sono uscite nuove proposte per il futuro, di cui alcune suggerite anche dagli stessi visitatori. Per esempio portare e presentare la mostra in altre città (parrocchie). Abbiamo già deciso infatti che l’esposizione sarà montata in tempi diversi durante il mese di ottobre prossimo (mese missionario) nelle parrocchie di Ourilândia do Norte, Tucumã e São Felix do Xingu, dove lavorano i nostri confratelli. Ma proposte analoghe sono venute anche dal Vescovo della Diocesi di SS.ma Conceição do Araguaia,  Mons. Dominique You, dalla Pastorale della Terra di Xinguara….
  • Domenica, 19 aprile, 2009: “Giornata dell’indio”. La celebrazione eucaristica delle ore 08,00 è arrivata al momento dell’abbraccio di pace prima della comunione. Nella grande navata centrale della chiesa di Cristo Redentore è tutto un movimento per lo scambio della pace. Qualche bimbo corre subito dal Padre per offrigli la pace. Ecco che uno di loro, si avvicina a P. Pino Leoni, celebrante di quella messa, (presente con noi tutti durantela Settimanadegli Indio per l’esposizione  sull’universo kayapó) e gli chiede, prima dell’abbraccio: “Padre, come si dice – la pace sia con te – in kayapó?” In quel momento nessuno ha sentito la traduzione di: “la pace sia con te in kayapó – ameikumrenx”, ma molti hanno visto il grande abbraccio che P. Pino, penso, a nome degli indio kayapó, ha offerto a quel piccolo rappresentante dei ”non kayapó”. Al termine del “percorso dentro l’universo kayapó”, un bel risultato, davvero! Quel bimbo ce lo ha fatto capire!

Redenção, 26.05.2009                                                              P. Renato T.



[i] Pe. Anton Lukesh (1911 – 2003), sacerdote, antropologo e professore presso l’università di Graz. Ha vissuto vari anni tra i Kayapó della regione del Sud Pará. Dei suoi libri, certamente il più conosciuto e consultato rimane ancora oggi “Mito e Vida dos ìndios Kayapós” , (titolo originale: “Mythos und leben der Kayapó”), Ed. Biblioteca Pioneira de estudos Brasileirs,  São Paulo, 1969.

Il “Centro di Pastorale Indigenista” di Redenção, porta il suo nome,  non solo per il prezioso contributo come missionario e studioso del popolo kayapó, ma anche per aver  voluto lasciare parte dei suoi risparmi per un’opera come il Centro della Pastorale Indigenista di Redenção.

 

[ii]Redenção, grosso centro di 70.000 ab,  sorto attorno al 1970 del Sud dello stato del Pará, in una zona ai confini con la grande riserva degli indio Kayapó. Ha visto la sua crescita e relativa prosperità con lo sfruttamento delle miniere d’oro, il legname pregiato e la terra (fazendas – allevamento di bovini).

 

[iii] Possiamo porre come data che segna l’inizio dello “scontro violento ” tra il mondo kayapó e quello “brasiliano” un giorno di settembre del 1980, quando 20 lavoratori – “peões” della Fazenda Espadilha, furono trucidati da un gruppo di indio kayapó. Uno di loro era stato  precedentemente ferito con un coltello dalla figlia dell’amministratore della fazenda.

 

[iv] Altro fatto degno di nota, (già più vicino a noi nel tempo, ottobre – novembre 2003)  per dare la misura del clima tra i due mondi “kayapó e non  kayapó” è la morte di un’anziana india kayapó, investita da moto-tassista  e 20 giorni dopo, la vendetta: l’uccisione di u n moto-tassista da parte di un kayapó.

 

[v] Azione analoga, ma con un impatto mondiale straordinario, avvenne durante i giorni 19 – 24  febbraio del 1989. Allora la diga si chiamava “Karar’ô”. La forza della presenza kayapó in quella grande Assemblea di Altamira, rimane ancora oggi legata al gesto dell’india Tyire, che posò  ripetutamente la lama del machete sulla guancia del  dell’allora direttore dell’Eletronorte, José Antônio lopez Muniz.

 

[vi] Foto (scattata durante il “Fórum Social Mundial” a Belém (27�1 – 01�22009) del globo capovolto sostenuto dalle mani della moltitudine, tra cui quelle di alcuni indio kayapó . Il sud del mondo prende Il posto del nord)